Caro due giugno, che l'Italia sta a casa perché è festa, perché l'odore del grano è quasi a naso, perché la scuola non smette di bollire ma siamo tutti così stanchi; caro due giugno che la repubblica è durata il battito di una penna scricchiolata tra le speranze, che aspettano ancora lì, tra il doodle di Google e il 1946, con la loro sportina stretta in mano, come mia nonna quando partiva per andare a trovare il marito al San Camillo, sposa nutrice bimba imbiancata - ma stavo dicendo, caro due giugno postelettorale, smantellati i baracconi di impresentabili presentati (e pure votati), smantellato il discorsetto mimetico di chi fa colpi di mano in casa e va a festeggiare la guerra altrove; resta un'idea da cui non mi libero, sganasciata dal sole e dai libri, dalla pazienza dei miei vecchi, che c'è il mio inizio ma chissà come finisco, io che da grande volevo fare Musica, io che da piccola sempre parole e Musica, io che poi la vita è stata altro - non peggio, non meglio: altro -, io che ti guardo sul calendario, due giugno festa della - un aereo mi zittisce, il cane sbuffa, il telefono ronza, nessuno t'ha salvato. Alba G., 2.6.15
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