Non so se era l'alba
o la sera
forse mezzanotte
non so.
Tutte le finestre
della mia vita
sono rientrate alla mia stanza
con tendine e senza tendine
mi
piacciono le tendine di cotone
ma ce
n'erano anche di tulle
e
stoini neri
li tiravo e li
lasciavo
e li tiravo di
nuovo
qualcuno non è più
sceso
qualcuno non è più
salito
e finestre con i
vetri rotti
mi son ferito a
una mano
e qualcuna senza
vetri.
Le finestre senza
vetri mi commuovono
come gli occhiali
senza lenti.
Le finestre.
La pioggia faceva
colare sui vetri
i suoi capelli
rossigni, lunghi e tristi.
Con la sigaretta
incollata al labbro
io dentro di me
canticchiavo.
Mi piace la voce
della pioggia
più che la mia.
Le finestre.
Al quinto piano
nel vuoto assolato che le circonda
un mare
un mare in pietra
blu da anello.
L'ho messo
dolcemente al mignolo
e l'ho baciato tre
volte piangendo
e tre volte l'ho
portato alla fronte.
Le finestre.
Son sceso dal
letto avvolto in coperte dai lunghi peli.
Ho messo il mio
naso di fanciullo sul vetro appannato.
La stanza era
calda
e c'era l'odore di mia madre giovane.
Fuori nevicava
e io avevo il
morbillo.
Le finestre.
Non so se era
l'alba
forse mezzanotte
non so.
Le stelle erano
nella mia stanza
e come le farfalle
di notte
battevano sui
vetri.
Attento a non
toccarle
vi ho aperto, finestre,
e ho lasciato andare le stelle alla notte
alla notte chiara senza confini e libera
dove passavano le lune artificiali.
Le finestre.
I lupi sono sotto
la luna
malati di fame
i lupi sono
davanti alla mia finestra.
Anche se chiudo le
tende pesante di velluto
so che i lupi sono
là
e mi guardano.
Le finestre.
All'alba mi
allontano sulla strada deserta.
Le finestre mi
guardano alle spalle.
Soltanto esse
sanno che non ritornerò la sera.
Le finestre.
Sono caduto da una
finestra guardando una bella.
La gente ride di
me.
La bella non si è
neanche voltata per guardarmi.
Forse non se n'era
nemmeno accorta.
Le finestre.
Le finestre.
Le finestre di
quaranta case
son rientrate alla mia stanza.
Mi sono seduto su
una di esse
e ho dondolato i
piedi alle nuvole.
potevo dire
forse io sono felice.
1958
Tratta da HIKMET, Poesie; introduzione di Joyce Lussu e traduzione di Joyce Lussu e Velso Mucci, Grandi Tascabili Economici Newton 2002
''Tuttavia la parte migliore della sua produzione era, ed è sempre stata, la poesia. La sua attività poetica degli ultimi dodici anni di vita è ricchissima e varia. Scriveva moltissimo e leggeva poco. Non limava i suoi scritti e non gl'importava di scrivere ogni tanto poesie affrettate e imperfette, più simili a comizi o a manifesti polemici. Scriveva con grande libertà, perché ne aveva voglia, perché aveva qualcosa da dire agli altri, felice se i suoi versi piacevano, senza preoccuparsi gran che se non piacevano. Se i traduttori bistrattavano i suoi versi, alzava le spalle e si metteva a pensare ad altro: li regalava, generosamente, senza meschino amor proprio di autore; la gente poteva farne quello che voleva, togliere o aggiungere qualcosa, trasformarli, adattarli a sé e alle circostanze; l'importante era che servissero. Tanto lui ne scriveva di altri, e si sentiva così ricco di poesia che nulla poteva impoverirlo.'' (Dall'Introduzione di Joyce Lussu)
Nazim Hikmet, poeta turco nato nel 1902; costretto alla clandestinità per il suo pensiero politico, è autore di numerose raccolte, scritti e drammi tradotti in moltissime lingue. Sconta in carcere tredici dei trentadue anni di prigionia cui è condannato; espatria da clandestino a Mosca, dove scrive e pubblica molte opere. Nei numerosi viaggi che compie, anche l'Italia è tra le mete che predilige. Muore nel 1963 a Mosca.
Img 1: Nazim Hikmet - https://kadikoybelediye.files.wordpress.com/2013/01/13.jpg
Img 2: Nazim Hikmet - http://galeri8.uludagsozluk.com/
Nessun commento:
Posta un commento