CANTATA
2
Le parole sono
incerte
e dicono cose
incerte.
Ma dicano
questo o quello,
ci dicono.
Amore è una
parola equivoca,
come tutte.
Non è parola,
disse il
Fondatore:
è visione,
inizio e
corona
della scala
della contemplazione
- e il
fiorentino:
è
un accidente
- e l’altro:
non
è la virtù
ma nasce da
quello che è la perfezione
- e gli
altri:
una
febbre, una pena,
una battaglia,
una frenesia, uno stupore,
una chimera.
Il desiderio lo inventa,
lo ravvivano i
digiuni e le lacerazioni,
la gelosia lo
stimola,
l’abitudine lo
uccide.
Un dono,
una condanna.
Furia, beatitudine.
È un nodo:
vita e morte.
Una piaga
Che è rosa di
resurrezione.
È una parola:
dicendola, ci dice.
L’amore inizia
nel corpo
dove termina?
Se è fantasma,
si incarna in
un corpo;
se è corpo,
a toccarlo si
dissipa.
Fatale specchio:
l’immagine
desiderata svanisce,
tu ti affoghi
nei tuoi stessi riflessi.
Festino di
spettri.
Apparizione:
l’istante ha corpo e occhi,
mi guarda.
Alla
fine la vita ha volto e nome.
Amare:
fare di un’anima
un corpo,
fare di un
corpo un’anima,
fare un tu di
una presenza.
Amare:
aprire la
porta proibita,
passaggio
che ci porta
all’altro lato del tempo.
Istante:
rovescio della morte,
nostra fragile
eternità.
Amarsi è
perdersi nel tempo,
essere
specchio fra specchi.
È idolatria:
divinizzare
una creatura
e ciò che è temporale chiamare eterno.
Tutte le forme
di carne
sono figlie
del tempo,
simulacri.
Il tempo è il
male,
l’istante
è la caduta;
amare è precipitarsi:
cadere
interminabilmente,
il nostro compagno
è il nostro
abisso.
L’abbraccio:
geroglifico
della distruzione.
Lascivia:
maschera della morte.
Amare: una
variazione,
appena un momento
nella storia
della cellula primigenia
e delle sue
innumerevoli scissioni.
Asse
su cui ruotano
le generazioni.
Invenzione,
trasfigurazione:
la ragazza
diventa fonte,
i capelli
costellazione,
isola la donna
addormentata.
Il sangue:
musica nel
diramarsi delle vene;
il tatto:
luce nella
notte dei corpi.
Trasgressione
della fatalità
naturale,
cerniera
che allaccia
destino e libertà,
domanda
incisa sulla
fronte del desiderio:
accidente o
predestinazione?
Memoria,
cicatrice:
- da dove
siamo stati strappati?
cicatrice,
cicatrice,
memoria: sete
di presenza,
desiderio
della metà
perduta.
L’Uno
È il
prigioniero di se stesso,
è,
solamente è,
non ha memoria,
non ha
cicatrice:
amare è due,
sempre due,
abbraccio e lotta,
due è voler
essere uno
ed essere l’altro,
l’altra:
due non riposa,
non è mai
completo,
gira
intorno alla
sua ombra,
cerca
ciò che
perdemmo nascendo;
la cicatrice
si apre:
fonte di visioni;
due: arco
sopra il vuoto,
ponte di
vertigini;
due:
specchio delle mutazioni.
3
Amore, isola
senza ore,
isola
circondata di tempo,
chiarore
assediato
dalla notte.
Cadere
è ritornare,
cadere è salire.
Amare è avere
occhi nei polpastrelli,
palpare il
nodo in cui si annodano
quiete e
movimento.
L’arte di amare
è arte di
morire?
Amare
è morire e
rivivere e rimorire:
è la vivacità.
Ti amo
perché sono
mortale
e tu lo sei.
Il piacere ferisce,
la ferita
fiorisce.
Nel giardino
delle carezze
tagliai il
fiore di sangue
per adornare i
tuoi capelli.
Il fiore
divenne parola.
La parola arde
nella mia memoria.
Amore:
riconciliazione
con il Gran tutto
e con gli
altri,
i minuscoli tutti
innumerevoli.
Tornare al giorno dell’inizio.
Al giorno d’oggi.
La sera è
colata a picco.
Fari e
riflettori
Perforano la
notte.
Io scrivo:
parlo con te:
parlo con me.
Con parole d’acqua,
di fiamma, d’aria e di terra
Inventammo il
giardino degli sguardi.
Miranda e
Ferdinand si guardano,
interminabilmente,
negli occhi
- fino a
pietrificarsi.
Un modo di morire
come gli altri.
In alto
le costellazioni
scrivono sempre
la stessa
parola;
noi,
qui in basso,
scriviamo
i nostri nomi
mortali.
La coppia
è coppia perché
non ha Eden.
Siamo gli
espulsi dal Giardino,
siamo
condannati a inventarlo
e a coltivare
i suoi fiori deliranti,
gioielli vivi
che tagliamo
per adornare
un collo.
Siamo condannati
ad abbandonare
il Giardino:
davanti a
noi
sta il mondo.
Coda
Forse amare è
imparare
a camminare
per questo mondo.
Imparare a
rimanere quieti
Come il tiglio
e la quercia della favola.
Imparare a
guardare.
Il tuo sguardo
semina.
Piantò un
albero.
Io parlo
Tratta da ''Il fuoco di ogni giorno'', in Octavio Paz, Le opere - Nobel 1990, Utet Torino
(Traduzione di Ernesto Franco)
Img: Octavio Paz, fonte: www.rtve.es
(Traduzione di Ernesto Franco)
Img: Octavio Paz, fonte: www.rtve.es
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