Vivienne Haigh -Wood http://www.telegraph.co.uk/ |
Thomas Stearns Eliot, http://ichef.bbci.co.uk/ |
La verità è che avrei dovuto parlarti addosso, Tom, parlarti
dentro, mentre il tuo occhio frugava le mie mani e impietosiva il mio sguardo,
perché so (lo so) che quel che ostenti è sicurezza ma quel che calchi, e scappi
pur di non confessarlo, è paura, Tom.
E’ paura.
Come la mia di attraversare la strada, di svegliarmi di
notte e vedere lucertole sul cuscino, di sorbire formiche insieme al brodo, di
non lavarmi abbastanza dopo il sesso, perché il sesso odora di te e di me e
della terra che ci butteranno addosso, delle tue ricerche e delle tue pretese,
dei tuoi silenzi, dell’ira che mi sbuffi sul collo quando mi prendi, dell’ira
che tossisci dentro una poesia; di questo sa il sesso, Tom, e io ne vivo, e ne
ho paura.
Potrei schermirmi la voce, alterare le maniere, indossare
guanti bianchi per accendere ceri e fustigare quel che resta del mio presente
con il cencio di una contrizione, con una preghiera tra le gengive, e scordare
il sapore del seme sulla lingua e dell’etere in gola – maledetti, mi cuciono nervi saldi su misura, nervi al metro e senza
sconto, come quel soggiorno in Svizzera, che dopo più nulla è stato lo stesso.
Più nulla.
La pioggia ama i distillati di sudore e inerzia. Ama
grondare dai nasi e dagli ombrelli. Inzaccherare cappotti e cani al guinzaglio.
Scorre su questo vetro come una tenia, e i vetri che altro sono se non
l’intestino dell’inganno?
La pioggia solleva le gonne e abbassa i rami. Prolifera tra
le giunture dei vecchi con dita d’umidità. Attecchisce sui tetti con un fragore
che ninna i bambini.
Volevo un figlio, Tom. Ma non da te.
Volevo te, e la tua poesia, e la tua voce, e il benessere
che mi dava lo starti accanto.
Volevo ballare solo per te, celebrarti col mio corpo e i
miei fianchi, godere del tuo tocco lieve e intimo anche tra mille persone,
sapere che saresti corso a casa dopo il lavoro per vedermi e giacere al mio
fianco, ma
dio
(il tuo dio, non il mio)
A te non piaceva prendermi.
E io …
Lui c’è sempre stato, Tom.
Abbiamo vissuto in casa sua, e io ho dormito nel suo letto,
e lavato i suoi piatti; mi ricordava mio padre, col suo alito e il suo passo, e
quell’acutezza che io non ho mai saputo afferrare per intero, ma che mi
estasiava. Era stato il tuo docente di
filosofia, io ne ero l’amante. Bertrand.
Cos’hai fatto ai miei anni, Tom? Cos’avevano le mie gambe e
i miei seni, la mia voce e le mie idee, che ti atterrivano al punto da farti
giurare castità?
Cristo.
Il tuo Cristo, non il mio.
Ma mi vedi? Mi guardi, Tom? Mi guardi, perdio? Sono
bellissima. Sono stata il sogno di mezza Londra.
Non il tuo.
Sono caduta giù un pezzo alla volta, come le molliche da una
tovaglia.
Sono una mollica sulla tua tovaglia, la stoffa grezza del tuo
rifiuto, la macchia rossa del vino proibito.
Sono la donna che hai sposato per sfregio, sgarbo, amore di
un attimo, idiozia. Sono la ceralacca del tuo ripensamento, la fuga
pusillanime, l’aggettivo dimenticato.
Certificato di matrimonio Eliot West-Wood mccaldinarts.files.wordpress.com |
Tre mesi, ed eravamo insieme, con un giuramento davanti
all’ufficiale e senza casa, senza lavoro, senza soldi, senza criterio.
Tu leggevi e leggevi e citavi poeti francesi e scrivevi e
dibattevi e passeggiavi e giorno per giorno, sempre meglio e con dolo, tessevi
una trama che mi escludeva da te.
La Terra Desolata ero io. Lo sono stata per così tanto
tempo, Tom. Ero il tuo personale, amatissimo, eccitante, rinnegato inferno.
Tu eri il Prufrock delle mie intenzioni, l’Animula dei miei
terrori, il Preludio di ogni mia contrizione.
Non è stato difficile, Tom.
Non darti pena, nelle tue notti senza solco e senza buio,
notti che scintillano di resistenza all’affanno, che malizia non imbratta – tu
segugio della fede, tu mendico della colpa, tu figlio del non-perdono, sei
andato con dio, e me, mi hai lasciato qui, ma adesso, adesso
ho pensato a tutto, io sola.
E’ stato semplice.
Ti avviseranno entro qualche ora.
Avrei dovuto baciarti un’ultima volta.
Ma fa lo stesso.
Viv., 1938
***
N.B.: Questo racconto, liberamente ispirato al matrimonio tra Vivienne Haigh-Wood e T.S.Eliot, è presente anche qui:
https://ivanomugnainidedalus.wordpress.com/tag/alba-gnazi/
Vivienne Haigh - Wood e T.S.Eliot, 1916 By hiddencause.wordpress.com |
Nel 2015 decorre il 100° anno d'anniversario del matrimonio, nonché il 50° della scomparsa del Poeta.
T.S.Eliot, poeta e critico americano naturalizzato inglese, autore di opere teatrali, critiche, poetiche ( tra cui il citato poemetto The Waste Land, ''La terra desolata'' in italiano ) ottenne il Nobel per la Letteratura nel 1948.
Morì a Londra il 4 gennaio 1965.
(Alba Gnazi)
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Una visita a Eliot (Alberto Moravia)
«Sono andato a trovare T.S. Eliot negli uffici della Casa editrice che dirige.
Gli uffici si trovano in Bloomsbury, vecchio quartiere di Londra raggruppato
intorno al massiccio edificio del British Museum. Un tempo, negli anni
dell’altro dopoguerra, abitavano a Bloomsbury molti scrittori e intellettuali;
oggi essi hanno trasmigrato altrove, a Chelsea, a Hampstead; i più, in
campagna. Bloomsbury, labirinto quieto e decaduto di piazze alberate e di
strade deserte, non ospita più che pensioni piuttosto squallide per studenti e
stranieri di passaggio.
È un quartiere in cui la malinconia di Londra si sposa ad una aura dotta:
piccole librerie, negozi d’arte, giornalai esotici. Le case hanno facciate
lisce di mattoni bruni e rossi, con porte talvolta dipinte di verde brillante,
rosso vermiglione o nero lacca, con grandi finestre dai vetri vuoti e
luccicanti. È il quartiere dove abitava (e tuttora abiterà) la mesta signora
che offre il tè a Eliot in una delle sue prime poesie: Portrait of a lady. La data della poesia è il lontano
1917. “Resterò qui ad offrire il tè agli amici” dice tristemente la signora al
poeta che parte. A tutt’oggi, a Bloomsbury, la poesia è ancora attuale. La
signora siede tuttora dietro i vetri di una finestra, in una di quelle case,
servendo il tè agli amici.
Non so quale effetto faccia la poesia di Eliot ad un lettore che non sia mai
stato a Londra. Probabilmente, come avviene, lo colpiranno gli aspetti più
universali e più liberi di questa poesia così ricca e complessa. Eppure, per
capire Eliot, la conoscenza di Londra e del mondo anglosassone è
indispensabile. Eliot con tutta la sua origine americana e le sue esperienze
francesi, è proprio il poeta di questa immensa e mesta città, di quest’impero
così potente, così ragionevole e così rassegnato. Quante volte aggirandomi per
gli sterminati parchi nebbiosi, mentre tutto intorno, dietro gli alberi, girava
il carosello degli autobus rosso fiamma, o guardando al profilo bizzarro della
città, oltre il Tamigi e i ponti, nella nebbia gialla di una giornata
invernale, oppure scendendo con cuore oppresso per le scale mobili verso i
budelli fragorosi della ferrovia sotterranea, quante volte ho pensato a Eliot
come al cantore ultimo e consapevole di questa civiltà orgogliosa e
crepuscolare, mercantile e poetica.
Pur attingendo ad una comune esperienza europea ed esprimendo gli stessi
sentimenti di funebre e acre premonizione di tanti poeti continentali, Eliot si
distingue da costoro per un chiaro accento epico. Gli giovò certamente, da una
parte, la prospettiva che gli derivava dall’essere americano, quel poter
vedere, cioè, da lontano e raccolto in una sola massa peritura, lo sforzo di
tremila anni di civiltà occidentale, dall’altra l’aver eletto a seconda patria
l’impero inglese in un momento particolarmente delicato e significativo.
Momento di potenza massima che già lasciava presentire disastri e decadenze
imminenti.
Nella sua opera questo senso della potenza e della civiltà e della vanità
della potenza e della civiltà si esprime non tanto in enunciazioni testuali e
aperte quanto in un fitto tessuto di simboli e di riferimenti culturali che
sono la grande novità della poesia eliottiana. In questo senso, grazie a questo
singolare sincretismo culturale, Eliot è bene il poeta quasi alessandrino di un
impero vasto come la terra.
Eliot è un uomo anziano, grande, un po’ curvo, magro, nitidamente vestito di
scuro, dal viso severo e un po’ rigido. Si pensa, vedendolo, ad un
ecclesiastico; e la dignità e sobrietà della sua voce, della sua espressione e
dei suoi atteggiamenti suggerisce l’idea di un vescovo anglicano. “Com’è
spiacevole incontrarsi con il signor Eliot” dice di se stesso in una sua poesia
“con il suo viso di taglio clericale, il suo cipiglio, la sua bocca
sussiegosa... come è spiacevole incontrarsi con il sig. Eliot, che tenga la
bocca aperta o chiusa”. Questo autoritratto, che si potrebbe confrontare con
altri famosi del secolo scorso, come per esempio quello del Foscolo, segna la
differenza tra la poesia romantica e quella modernissima.
È l’autoritratto di un poeta cui una delusione metafisica e il senso della
vanità di tutte le cose hanno tolto ogni illusione anche su se stesso. In realtà,
poi, incontrarsi con il signor Eliot è un privilegio prezioso. In lui si
riconosce la presenza misteriosa e commovente della poesia. Certamente la
maggiore poesia che sia stata scritta oggi in questo nostro mondo così
impoetico».
Alberto Moravia
N.B.: Questo racconto è stato pubblicato anche qui: https://ivanomugnainidedalus.wordpress.com/2014/03/09/viv-1938-racconto/ (ringrazio nuovamente per l'ospitalità).
Un ritratto intenso, coinvolto e coinvolgente, che si legge come ascoltandolo e che per questo penetra nell'anima del lettore con una forza e una necessità rarissime e quasi sacrali. Non mi sono mai sentito tanto preso da una personalità lieve, riservatissima eppure complessa, viva, eternamente presente, proprio nell'attimo in cui egli è - e si fa - parte sempre nuova, e tuttavia ben nota, di me. Again and again, thank you , Alba.
RispondiEliminaChe sia il silenzio, un silenzio consapevole e sorridente, a fare le veci di infiniti grazie...
RispondiEliminaA te, alle tue parole - e poi taccio, ché altro dir non so ...
E' un grande regalo il tuo racconto (per la sola voce di Vivienne H.-W.). Una tua restituzione in forma di monologo costruito attraversndo tutte le connessioni del possibile, tutti i cosiddetti possibili di un'anima tormentata, la cui vicenda vitale non è stata per me che una delle "sorgenti" dei tormenti eliotiani. Ma questa donna dall'anima ipersensibile ha avuto una sua vita e certo più di una morte, prima di lasciare questa terra. Lei stessa Grande Madre e Terra desolata, per te, Autrice audace che vive i suoi giusti azzardi letterari. Credo che questo debba farti onore, Alba. Ancora grazie a te per tutto questo.
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