Al fatto che non sbuccio mai
le mele
imputo
la mia distratta eloquenza,
l’andar per pontili in cerca
di
ormeggi, il cuneo che separa
il mio primo urlo da madre
dai silenzi di mio figlio, le
mie ciglia
rinsecchite dai risvegli, il
gesso
che si spezza su una lettera,
la voglia di piangere
sulla spalla di un bambino.
Al fatto che le mordo, le
mele,
nella polpa, col picciolo,
fino al dito,
imputo
la notte gonfia di vite
immobili
nel respiro delle meridiane
e il bucato che ancora devo
ritirare,
il bucato che ancora
non ho ritirato.
Alba Gnazi,6.6.14
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