(Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959).
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ATTESA
Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di quest’improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.
ALBA
Solo in te, alba, riposa
la mia morte affannosa.
Solo in te trova pace
l’insonnia mia, ch’è simile
ad un rombante fiume
rapinoso, infernale,
dov’io vado ogni notte
dibattendomi invano.
Dinanzi a te, che giungi
sempre così furtiva
da far quasi paura, e origli e spii,
spettro anche tu, il più vago,
alba dal freddo viso,
cessan gli orrori, fuggono i fantasmi.
La morte, mia nera
compagna di veglia,
se ne va, s’allontana
a passi di ladro.
Ond’io emergo e mi libero
dall’onda tenebrosa
e affranto mi riduco
al mio sonno di pietra.
O alba, o dolce alba,
mare di luce incerta,
in cui tutto ha foce.
PARTENZA MATTUTINA
Al mio paese non posso dormire.
Sempre mi leverò coi primi albori
e fuggirò insalutato.
Quanti mattini della mia infanzia
furon simili a questo,
libeccioso e festivo,
con la marina burrascosa in vista
e la terra bagnata.
Quante volte percorsi questa strada
ove oggi mi ritrovo e mi stupisco
d’essere ancora al mondo.
Sconosciuto, inatteso,
eccomi in via di nuovo
per quella stazioncina solitaria
in cui vissi bambino, a cui ritorno,
e tutto il mio passato
mi frana addosso.
Inorridisco al suono
della mia voce.
TEMPO CHE MUTA
Come varia il colore
delle stagioni,
così gli umori e i pensieri degli uomini.
Tutto nel mondo è mutevole tempo.
Ed ecco, è già il pallido,
sepolcrale autunno,
quando pur ieri imperava
la rigogliosa quasi eterna estate.
IMPRESSIONI
Molte cose naturali mi hanno spaventato come enigmi
calamitosi.
Molte altre,
evidenti, mi sono parse incredibili.
Ho visto delle
bocche non essere altro che la forma organica e indifferente del riso; bocche
di vergini, d’una ilarità faunesca e misteriosa.
In certi suoni
di voce senza canzone ho udito il cruccio monotono e vendicativo d’una
implacabile inferiorità, disposta a giungere alla pazzia e al delitto piuttosto
che lasciarsi persuadere.
Ci sono esseri
che soltanto a permettersi la più innocente civetteria mi hanno respinto.
Altri ai quali
non ho saputo concedere nessuna grazia e nessuna leggerezza, come se avessero
perduto sulla soglia della creazione il loro diritto di sorridere e di scherzare.
Resistenze assurde
e inattese che m’hanno contrariato come la forza massiccia di certe nudità
impermeabili e fredde.
Angosce letargiche
le quali sono state i miei anticipi di morte.
Quante cose
cattive e abbandoni di natura ho visto io sui volti umani!
Ho esplorato
tutti i mali. La paralisi, che larva il dolore. Le anemie prolungate, che dànno
la sorda ambizione. Il sangue ricco e limoso, che fa gli uomini oscuri e
disgraziati. L’incontinenza, che fa colare l’energia come un cero al vento. Le rabbie
e le severità missionarie dei cancerosi. Le liete pederastie degli uomini sani.
Le irritazioni cutanee dei cervelli aridi che simulano lo scatto creatore. Il lucente
amore degl’isterici. Il tratto ironico degli astinenti. Il funesto potere d’incanto
e di esaltazione ch’è nei timidi. Le insidie patetiche degl’infelici che non
conoscono la rassegnazione. Il pericolo latente di certe malinconie. – I pazzi
logici, col loro io verticale. I cupidi silenziosi, col loro sorriso che
scompare.
Tutti i mali. Sono
stato scosso e cacciato da tutte le rivelazioni. Tutta la realtà incomunicabile
e sacra che ha una sua furtiva azione dietro i sipari della convivenza ha fatto
il mio tremore e la mia folle fuga nell’impotenza, per anni.
CONSTATAZIONI
(…)
Accorgersi che
quel che ci ha tanto preoccupati non era che un fatto fin troppo naturale. Sprecare
tanta meraviglia per arrivare a riconoscere che non c’è niente di straordinario
in una cosa che accade. Non giungere ad altra conclusione che del proprio
inganno. Non poter goder di sentirsi liberi che d’uno sciocco terrore. Eppoi sappiate
insegnarmi come si fa a trovare il coraggio di ricominciare.
Ci sono giorni
che lo sforzo della vita mi sradica alle gengive. Teso sul letto, sospeso e
quasi inesistente, oscillo come un ago calamitato.
***
Tutti i testi sono tratti da VINCENZO CARDARELLI, OPERE
a cura di Clelia Martignoni, A. Mondadori editore, I Meridiani, 1996
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