Dio, un tempo
Sarebbe comodo un dio, non
è così? Uno che trovi a colpo sicuro dietro a qualche nebulosa, o sotto al naso
di questa luna ghiotta di storie; comodo averne il sospetto o la certezza; comodo smazzare per lui i desideri e
mettere nella sua banca le mancanze; comodo scagliarlo fuor di petto con una
bestemmia, e cingerselo di nuovo alla testa in una provvisoria contrizione.
Comodo, sì. Scantonare
quanto serve per assolversi e salmodiare quando
certe nebbie bucano gli occhi.
Ma un dio così, se esiste, è a passeggio con qualcuno di più rilassante
e meno invasivo.
Persuaditi, su.
Un dio che ti insapona, un dio così non c'è, e non ti rimane che
spegnere i fari, toglierti il make up dalla faccia, riconoscere il tuo odore
sul cuscino, e se ti riesce scrivere qualcosa - una canzone, una missiva, una
poesia - e poi dormire dentro i tuoi soliti naufragi, perché dio – vedi - dio
abita nello stesso palazzo di Godot.
Avendo tempo da perdere, potresti anche dar lume a un cero e attendere
che le tracce del divino siano visibili, assecondarne la traiettoria come
quando, da ragazzina, seguivi con un bastoncino la colonna delle formiche – e
come allora, avvertire la tentazione di spargere terra sopra a quell’ordine
muto, l’istinto famelico di innestare le cose su un percorso alternativo: anche se a otto anni il quotidiano prevedeva orologi lenti e temuti cristi
sulla parete, mentre a quaranta prevede orologi troppo veloci e nessun compianto
cristo che si rifletta su di te.
Pensi a tua madre, a tua nonna, alle domeniche di ecumenica noia, ai
vecchi che ti facevano pena su quegli stecchi di pelle e carne piegati
sull’asse di legno, in preghiera cisposa e lacrimante; tu andavi a prendere il
corpodicristo con tua nonna e il prete negli occhi non lo guardavi mai, perché
diceva che il corpodicristo va messo in un tempiopuro e tu, che mangiavi i
dolci di nascosto e ti toccavi e dicevi le parolacce giocando con gli amici,
non avevi un tempiopuro.
L’altra ragazzina, quella nel cervello posteriore, rideva a crepapelle. Tu la ascoltavi ridere, e ingoiavi il corpodicristo stando attenta a non masticare, perché la nonna ti osservava di sguincio, pronta allo scappellotto.
L’altra ragazzina, quella nel cervello posteriore, rideva a crepapelle. Tu la ascoltavi ridere, e ingoiavi il corpodicristo stando attenta a non masticare, perché la nonna ti osservava di sguincio, pronta allo scappellotto.
Tua nonna poi se n’è partita, senza corpodicristo e con tanti corpi
ladri nell’intestino, e anche la ragazzina: infine sei partita anche tu, con le alchimie del raziocinio (c’è chi lo chiama
così), cambiando marce e velocità perché il grigio qualche volta si dipani in
nero chiaro.
A volte pensi che sarebbe comodo avere un dio per scartavetrare le
meningi e svuotare le viscere. Sarebbe comodo, altroché. Ma ti porti in giro
da troppi sbagli e troppe intuizioni per annaffiarti di crisantemi e
benevolenze d’aldilà. Hai suonato già a quel campanello, e nessuno ha aperto, e
nessuno ti ha coperto; così sei risalita in macchina, hai spolverato le scarpe
e ti sei fermata a un bar.
Forse un cristo intatto e allegro ti offrirà da bere, senza chiedere nulla in cambio.
Alba G., 28.9.13 (modificato successivamente)
in : http://issuu.com/pasticherivista/docs/pastiche__27_online__1_/5
Nessun commento:
Posta un commento