Who I am

Alba Gnazi

Le parole sono una chiave e un ponte, un codice privilegiato e misterioso, un canto: leggo da quando ne ho memoria.
Ancorata alla Musica, trattengo chimere sotto le unghie e mi ricompongo nella luccicanza di gioie minute, a metà tra il surreale e la strada.
E di vagare non smetto.


domenica 28 dicembre 2014

They Eat Spaghetti

 Eravamo a cena in un locale in cui fanno un'ottima pizza, hai presente la pizza di tipo napoletano, coi bordi alti e il condimento distribuito con sapienza e gusto estetico?, ecco, una cosa che sparge benessere a cominciare dall'idea; locale senza pretese, coi tavoli in ferro battuto e le tovaglie di carta, con il proprietario che passa a chiedere come va col sorriso tra le mani.
Insieme alla birra ghiacciata e ai dialetti leggeri mischiati tra facce e soffitto, scivolava lungo il collo la musica dell'amata, bellissima Napoli proveniente da casse infilate tra i quadri e le foto- le foto di Troisi e di Totò, di Pulcinella e del golfo; le foto della pizza e degli spaghetti:  tra una chiacchiera e una risata brevi unghiate di nostalgia simile al vento nero dei marciapiedi fuori, dove il riflesso dell'insegna veniva inghiottito dal ringhio del mare, del faro che ondeggiava tra i tetti chiamando Casa -  e noi ancora lì dentro, a circondarci di noi stessi.
Il cibo è vicinanza, festa e ricordo. Un'eccellente scusa per smettere distanze.
Gli spaghetti, così veloci a cuocere e versatili, sono amati ovunque: da sempre.
Io li amo particolarmente.
Me li concedo scolati al dente e con un filo d'olio, o con una salsa leggera al basilico.

Gli spaghetti sono arte e poesia.

I eat spaghetti, they eat spaghetti, we all eat spaghetti.

Enjoy :)


A. Eisenstaedt, Woman eating spaghetti, 1941
Audrey Hepburn


Corrado Mantoni


Buster Keaton
Women eating spaghetti


Alberto Sordi

Vittorio Gassman and Gina Lollobrigida


Fernandel as Don Camillo

Paolo Villaggio as Fantozzi


Dean Martin
Frank Sinatra






Isabella Rossellini
Italian Beauty eating Spaghetti
Gwyneth Paltrow

John Lennon

Louis Armstrong
Jayne Mansfield

Lady Gaga



Julia Roberts
Tom Cruise and Oprah
Madonna (for Dolce and Gabbana)
Sophia 

Marilyn Monroe
She eats spaghetti
She eats spaghetti, too




Sean Connery 
Pulcinella
Oh my gosh ... 


Antonio de Curtis as Totò 




R. Guttuso, Uomo che mangia gli spaghetti


Tempo verrà (D. Walcott)
 
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.


Images and poem : web



giovedì 25 dicembre 2014

Dicembre '14 - A.

Georges Braque, Barche sulla spiaggia 



Risveglio di nebbie sulle sabbie di Tirrenia. Muto e assonnato passo d'alba tra controluci che m' asciugano il sonno.
In ascolto del mare nascosto, lo intuisco con la frenesia degli amanti; ne annuso l'assenza con vibrisse feline. Fremono gli occhi.
L'inverno spiga da un autunno febbricitante. 
Sulle plaghe gli aironi a eserciti, a sciami, planano e si posano, quasi fossero molliche d'aria e piume, 
con una zampa nelle pozze e il becco al vento.
(Avrò voce nella voce?)
Ma è il solstizio, e ho pantofole d'inverno, e ho sempre qualcosa da fare nei miei qualcosa da fare.
Incorro in tutti i frastuoni di domenicali facce e giacche e nasi e auguri.
Vorrei tacere talvolta ma non oso.
Incorro in me e per non parlarmi troppo addosso chiudo libri e specchi.
(Vorrei tacere anche adesso ma non oso.)
Il solstizio mette pantofole all'inverno, tra le nebbie e le sabbie di Tirrenia.

G. Courbet, Le onde


Vedi.
La voce è un messaggio e un'offerta.
Mi offro : prendimi, dice la voce.
Come la poesia. Quando la si legge, poi diventa nostra. Diventa mia, diventa tua.
Oggi avevo una poesia per un bimbo triste. 
Oggi avevo una voce per una donna in guerra, e di guerra stanca, come direbbe Amado.
Oggi avevo così tante zolle tra le mani da dovermi mettere seduta.
Invece ho sbadigliato ridendo.
E le zolle hanno sgretolato via le necessità dalle mie braccia.
Ho cantato per i punti sospesi in gola, per un bambino in guerra , per una donna triste.
[You. Mon semblable. Così simile da essermi sorella. O io. ]


Paola Pittori, Donna senso e sacralità
Crediamo che ci manchi.
Sempre qualcosa.
Il tempo. La voglia. Le occasioni. La fantasia. Una marcia in più. Quella conoscenza. L'aspetto giusto. La voce adatta. La firma leggibile. La capacità di sintesi. I soldi. Lo spazio. Un libro. Le sigarette. Il telefono. Lei. Lui.
............................................Levità.
Metti i piedi nell'acqua. Infilati nel caldo. Spostati nella Musica. 
............................................ Levità.
Conquista il silenzio delle mani e del corpo.
Toccati le mani, toccati il viso, toccati il corpo.
(Sei tu.)
Toccane il silenzio, la voce zitta, la voce che tace, la voce che ora riposa.
Lieve di levità e silenzioso corpo, lì, dove sei Musica e niente ti manca.
nessuno ti manca.
(Lieve)

http://www.timeshighereducation.co.uk/Pictures/web/j/s/x/opinion_p26_27_200111.jpg

Il ricordo non paga.
Stimola aspettative e formula inganni.
Ne prevengo la forza con annegamenti nel presente.
Infuria però tra le serrande dei miei alibi col sibilo di altri alibi. Di caldissime puerili seduzioni.
Mi affascina con istanti di odore. 
Mi precede, mi forma.
Quel che ignoro è perché si ostini a imporsi sulle mie realtà con accenti che spesso mi gelano.
Ne avrò bisogno, in un qui per cui adesso non c'è posto.
In una me che ha decostruito per ricostruire senza indugi.
Bisogna viaggiarsi via, di tanto in tanto.
Dai sé che non esistono.
Dai mondi che non esistono.
Forse più - forse mai.
E che azzannano come le mosche durante la siesta, in pieno sole, che resta a guardare e non difende.


Alba Gnazi
Dicembre 2014

mercoledì 24 dicembre 2014

Che il natale - A.



Che si festeggi il natale, è un fatto assodato.
Odore di legna e di nebbia.
I risvegli sembrano sempre quelli.
Che si festeggi il natale va pure bene.
Che se ne ricordi la forma intatta di quando l'albero era un portale, il camino una galleria, il rosso una promessa, la mamma misteriosa e un incanto la tele accesa: va bene. Va bene.
La notte di lontani ventiquattro dicembre : una costola d'ansia e magia stretta sotto alle palpebre, col cuore tra orecchio e cuscino: per ascoltare.
Che il natale sia anche il ricordo è normale.
Dei figli che frugavano tra i pacchetti; di quella volta che l'albero cadde, di quella volta che pioveva così forte, di quella volta che all'ultimo qualcuno disdisse, di quella volta (sempre, credimi: sempre) che i grandi sono più capricciosi dei piccoli; di quella volta che babbo natale s'era ricordato di regalare solo una nostalgia bruciante tra i fianchi e sulla nuca; di tutti quegli anni e anni e anni che la musica è stata la salvezza da una voglia di scappare così devastante - e come nessuno se ne fosse mai accorto resta un arcano.
Che il natale sia un giorno qualsiasi, è ovvio.
Dismessi i campanelli da battaglia, coi figli che non guardano più sotto l'albero ormai da un pezzo, coi figli che guardano altrove - è così che va; il natale è il compleanno di qualcuno che non esiste, di babbo natale o di un piccolo dio tra tanti piccoli dei; non mi sorprende il bisogno di credere, quel che mi sorprende è la credulità.
Che il natale faccia girare l'economia, è un fatto certo.
Apparecchio la tavola per tanti quanti siamo.
Il bello del natale è che non aspetto niente, tranne di vedere volti e odorare profumi di pelli e abiti che riconosco, che mi assicurano come certe cose restino ferme.
Che il natale sia immobile, è dimostrato.
Che se ne parli troppo, è scontato.
Che sia cruccio e spesa, è voluto.
Potrebbe chiamarsi natale, hanukkah, fine del ramadan, imbolc. Cosa conta.
Cosa conta.
Forse questa festa, come ogni festa, serve a rimettere a posto e vicine cose e persone.
Forse non serve proprio a niente: ché in effetti non si deve aspettare il natale ( o qualsiasi altra festa) per dire a qualcuno che è importante, per stare intorno a un tavolo e guardarsi negli occhi, condividere un pasto, raccontarsi un po'. Va da sé. Va da sé?
Che il natale sia inutile, è fuori moda chiederlo.
Che il natale sia al di là di ogni moda, è risaputo.
Che del natale si amino il clima e il calore, è comune e noto.
Che io provi una indifferenza definitiva e asintomatica a tutto ciò che è natale, è quasi inconfessabile.
Che poi, ogni volta che uno dei miei bimbi a scuola, prima delle vacanze, mi regala un biglietto trafitto di cuori e affetto io abbia voglia di piangere, è quasi noioso e sembra artefatto. 
Ho conservato centinaia di cuori trafitti e faccine tese al mio abbraccio.
Non foss'altro che per questo, il natale a qualcosa serve.
L'ascia che rompe il mare ghiacciato, per dirla con Kafka, non è sempre e solo un libro.
Che il natale sia un'ascia o un mare ghiacciato, è a seconda e su misura. 
Posso pensarci ancora un po' su?
Devo pensarci ancora un po' su.

Alba Gnazi
24.12.14



Img: http://images.fineartamerica.com/images-medium-large-5/yule-candle-glow-joni-mcpherson.jpg

domenica 21 dicembre 2014

In fondo c'è una valle - Iole Troccoli


Mi hanno detto che in fondo c'è una valle
un dormitorio d'erba
dove tutto è quieto
dove non esiste più rumore
o forse è un fiume
blu di riflessi
con intorno lampade come fiori
con la riva macchiata di passi
quiescenti
un sentiero di rane.
Hanno detto
a me che non scrivo più
di acchiappare uno smeraldo tra gli alberi
la foglia fissa che ti osserva in sogno
e di scriverne
senza pensarci su
senza afferrarne i lembi
senza torcerla o marcirla
nell'acqua stagnante di quel che dico
o che faccio.
Ma io, che non so più scrivere
con il coraggio che devo
ho soffiato tra una radice e l'altra
ho visto l'occhio azzurro freddissimo
della fata bianca
e ho preferito la valle
la sua erba sollevata da ciò che resta
di bello
nel continuare a sognarla.
Dentro la notte nera
sono timida cosa
- ho replicato -
preferisco spaccare il vetro
e tentare con la mano ciondolante
di toccare la punta
portare le dita al naso
e sentire
tutti i profumi della terra
che resiste.


Img: Exmoor, North-West Devon, UK

martedì 16 dicembre 2014

ELOGIO DELL’OMBRA - JORGE LUIS BORGES


URL: https://prelectur.stanford.edu/lecturers/sarlo/gifs/borges.jpg

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri gli danno)
può essere per noi il tempo più felice.
È morto l’animale o quasi è morto.
Restano l’uomo e l’anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che ancora non son tenebra.
Buenos Aires,
che un tempo si lacerava in sobborghi
verso la pianura incessante,
è di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le confuse strade dell’Once
e le precarie case vecchie
che seguitiamo a chiamare il Sud.
Nella mia vita son sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò  gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e somiglia all’eterno.
Gli amici miei non hanno volto,
le donne son quello che furono in anni lontani,
i cantoni sono gli stessi ed altri,
non hanno lettere i fogli dei libri.
Dovrebbe impaurirmi tutto questo
e invece è una dolcezza, un ritornare.
Delle generazioni di testi che ha la terra
non ne avrò letti che alcuni,
quelli che leggo ancora nel ricordo,
che rileggo e trasformo.
Dal Sud, dall’Est, dal Nord e dall’Ovest
convergono le vie che mi han condotto
al mio centro segreto.
Vie che furono già echi e passi,
donne, uomini, agonie e risorgere,
giorni con notti,
sogni e immagini del dormiveglia,
ogni minimo istante dello ieri
e degli ieri del mondo,
la salda spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti,
l’amore condiviso, le parole,
ed Emerson, la neve, e quanto ancora.
Posso infine scordare. Giungo al centro,
alla mia chiave, all’algebra,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

***
Video: Jorge Luis Borges - Elogio dell'ombra
(Elogio de la sombra 1969)
voce recitante: Luigi Maria Corsanico


 Elogio de la sombra

La vejez (tal es el nombre que los otros le dan)
puede ser el tiempo de nuestra dicha.
El animal ha muerto o casi ha muerto.
Quedan el hombre y su alma.
Vivo entre formas luminosas y vagas
que no son aún la tiniebla.
Buenos Aires,
que antes se desgarraba en arrabales
hacia la llanura incesante,
ha vuelto a ser la Recoleta, el Retiro,
las borrosas calles del Once
y las precarias casas viejas
que aún llamamos el Sur.
Siempre en mi vida fueron demasiadas las cosas;
Demócrito de Abdera se arrancó los ojos para pensar;
el tiempo ha sido mi Demócrito.
Esta penumbra es lenta y no duele;
fluye por un manso declive
y se parece a la eternidad.
Mis amigos no tienen cara,
las mujeres son lo que fueron hace ya tantos años,
las esquinas pueden ser otras,
no hay letras en las páginas de los libros.
Todo esto debería atemorizarme,
pero es una dulzura, un regreso.
De las generaciones de los textos que hay en la tierra
sólo habré leído unos pocos,
los que sigo leyendo en la memoria,
leyendo y transformando.
Del Sur, del Este, del Oeste, del Norte,
convergen los caminos que me han traído
a mi secreto centro.
Esos caminos fueron ecos y pasos,
mujeres, hombres, agonías, resurrecciones,
días y noches,
entresueños y sueños,
cada ínfimo instante del ayer
y de los ayeres del mundo,
la firme espada del danés y la luna del persa,
los actos de los muertos,
el compartido amor, las palabras,
Emerson y la nieve y tantas cosas.
Ahora puedo olvidarlas. Llego a mi centro,
a mi álgebra y mi clave,
a mi espejo.
Pronto sabré quién soy.


URL: http://www.mundolatino.org/cultura/borges/borges8.jpg

URL: http://media.tumblr.com/tumblr_l1fn63Llfw1qzll1y.jpg

Tratto da : 
Jorge Luis Borges, Elogio dell'ombra 
(Seguito da abbozzo di autobiografia, a cura di Norman Thomas di Giovanni)
Versione con testo a fronte di Francesco Tentori Montalto. 
Nuova edizione a cura di Glauco Felici. 
Einaudi, 1998



lunedì 15 dicembre 2014

A chi dirai - Sonia Tri





A chi dirai
che mi mancheranno il cielo
e il mare dipinto
sulle tele dei sognatori?
La neve d’inverno
e l’odore del legno bagnato.
Le viti attorcigliate e le margherite
che mi hanno sempre mentito.
E l’acqua quando sgorga
tra le mani, a chi dirai
che mi mancherà?
Le ciliegie
condivise con i merli
e le farfalle,
con la libertà.
Fare l’amore
con l’uomo che ho amato
e aprire gli occhi
con la consapevolezza
che quello che non si vede
si può immaginare.
A chi dirai che mi mancherà
piangere e ridere
con l’amica di sempre
ed invecchiare
per tornare bambina
a contare stelle.
A chi dirai che i bambini
sanno contare tutte le stelle?


Img: web

sabato 13 dicembre 2014

At Dawn - A.



Oscuro
Mostri nel cuore
Terre maligne
Più gonfie di un altare,
Borghi sfatti 
Di alimentati idoli
morti
Senza pause,
Un'eco ostile di vuoti e salmi
In prossimità del mare.
In mano cenci
a tergere lo sguardo.
Chi
Sa che odore lascia
Ricominciare.


A. 13.12.14


Img: At dawn, John Bauer

Rosso Tiziano - A.

Venere di Urbino, Tiziano Vecellio


Dalle alture della tua voce,
rumoroso crocevia di andirivieni
che s’infiuma e s’inversa di cirri poesia e pelle,
aspergi aliti e inni, e opre e fole
sui prosceni della mia schiena, abside immota
d’ire senza inverno, dirupo d’ogni tuo cielo
in imperitura attesa.

Folle piovane inciampano nei tuoi occhi,
prospere d’ insania e devozione all’attimo che muta:
non tu, non tu
che a crudeltà e amore t’impigli
arreso alla finestra, prossimo e tenace:
di tempeste fuor d’altrove mi vestono i tuoi sguardi
e cos’altro, se non questo triangolo di verginale, demoniaca cattura
posso offrirti, cos’altro se non
il tiziano dei miei capelli, accosciati su stinti candori, sui
grovigli delle tue dita spalancate come cortili
d’infanzie zuppe di sole e siesta, cos’altro:
se non queste sillabe allunate tra labbra e pena, e
l’ottuso, riottoso rimbombo di scansati malumori,
di guardinghe solitudini in mistura imponderata
tra gli abbozzi d’un tramonto, l’intonaco del tuo odore,
le sete in disavanzo di vanesse ormai lontane.



 A. 26.6.13
·         Oggi
·        


giovedì 11 dicembre 2014

Maurizio Vinanti - Opere scelte


M. Vinanti, A sorpresa

Maurizio Vinanti vive e opera a Firenze. 
L'ho ''scoperto'' mesi fa mentre, in cerca di un'immagine da unire a un pezzo presente qui sul blog, sfogliavo pagine e pagine del web: sono rimasta colpita dalle sue modalità espressive, così ho fatto delle ricerche, che mi hanno condotta al mondo vasto, pieno, per certi versi fanciullesco, per altri estremamente malinconico e disincantato, della sua Arte.
Ho avuto modo di contattare Maurizio: il quale ha accolto la richiesta di una selezione di opere per Charlot. 
Non ho seguito un tema, nella scelta dei soggetti: solo le sensazioni visive, i richiami e i rimandi a esigenze d'armonia e colore che ho avvertito. 
Ho seguito, nella scelta, un ''poetare'' artistico che, a mio parere, accoglie voci e suoni di ogni tempo, che coniuga espressioni e impressioni differenti - non tralasciando un'ironia piacevole e arguta - sintomo e frutto della partecipazione al presente e alle sue innumerevoli sfaccettature, dell'osservazione acuta dei tempi e dei modi dell'umano agire, di  una volontà di spiegazione che non accoglie recinti né definizioni conclusive e respinge, confinandole nei colori e nei tratti sognanti dei soggetti e dei luoghi, paure, mortificazioni, distanze e assenze.


Tramonti a Sud

Il circo dei Sogni

Dolce sonno 
A pesca di stelle

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Ulisse

Concentricamente



Riflettendo

Momentaneamente

A colori 
A sorpresa

Divina Fuga

Si suona

Untitled

Bersaglio lunare

Mademoisemotoi

Positano

Carico speciale

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Bianco stellare

C'era una volta

Caffè

Davide

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GiraMondo

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Luce ai ricordi

Neri

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